Quante volte abbiamo sentito usare il termine “attacco di cuore”, in televisione o conversando con amici e parenti? Ciò a cui questa espressione fa riferimento è l’infarto miocardico (IM), una condizione particolarmente grave che si verifica quando il flusso sanguigno, diretto ad una parte del muscolo cardiaco (miocardio), si riduce o si interrompe completamente.1
Generalmente è causato da un coagulo di sangue (trombo) che va a bloccare un’arteria coronarica, ovvero uno dei vasi sanguigni che garantisce l’apporto di ossigeno ed energia al cuore.2 La mancanza prolungata di ossigeno è in grado di causare danni irreparabili, portando alla morte delle cellule che costituiscono il miocardio e, successivamente, alla necrosi del tessuto stesso.1
La prevalenza globale dell’infarto miocardico è maggiore nei soggetti anziani, ma questo fenomeno colpisce anche in maniera significativa anche i più giovani: complessivamente, ha un’incidenza del 9,5% in persone di età superiore ai 60 anni e del 3,8% nei soggetti di età inferiore ai 60 anni3, percentuali che evidenziano non solo quanto sia importante sviluppare trattamenti sempre più mirati ed efficaci, ma anche diffondere maggior consapevolezza sulla patologia e sulle tecniche preventive.1
Nella maggior parte dei casi, l’infarto è il risultato di un lungo processo: nel corso degli anni, all’interno delle arterie coronarie possono accumularsi depositi di grasso, colesterolo e altre sostanze, andando a formare placche, dette aterosclerotiche, che ostruiscono il flusso sanguigno e ad infiammare il tessuto endoteliale.4 Questo processo infiammatorio cronico è definito aterosclerosi ed è anche la principale causa delle trombosi.2 Alcune cellule infiammatorie, come i macrofagi e i linfociti T, possono infiltrarsi all’interno della placca e degradare il suo tappo fibroso, che la mantiene compatta, contribuendo alla sua destabilizzazione e ad una formazione a cascata di trombi; questi vanno ad ostruire le arterie coronariche, portando all’ischemia miocardica e, di conseguenza, all’infarto.2
Tuttavia, esistono delle rare casistiche in cui l’infarto non deriva da scorretti stili di vita: si tratta delle “morti cardiache improvvise” (SCD), principalmente diffuse tra i giovani, le quali vengono raramente diagnosticate in tempo per via dell’asintomatologia. Queste morti improvvise hanno, spesso, come comune denominatore anomalie strutturali del cuore congenite o cardiomiopatie ereditarie che possono passare inosservate.5
Quali sono i campanelli d’allarme di un infarto?
I sintomi che vengono sperimentati più comunemente includono dolore o pressione al petto, spesso descritti come una sensazione di schiacciamento o pesantezza; questo dolore può irradiarsi al braccio sinistro, al collo, alla mascella o alla schiena ed essere intermittente o persistente, indipendentemente dalla posizione o dal movimento della regione coinvolta. Oltre al dolore, possono presentarsi in concomitanza anche sudorazione, nausea, dolore addominale, mancanza di respiro e svenimento, tutti segnali da tenere in considerazione e non sottovalutare. Talvolta, l’infarto può manifestarsi in maniera più subdola, con sintomi atipici come le palpitazioni, o portando direttamente all’arresto cardiaco1; per queste ragioni, oltre ad essere più complicato da diagnosticare precocemente, l’infarto del miocardio si posiziona tra le principali cause di morte in tutto il mondo.4
La prevenzione, gioca un ruolo cruciale, in quanto non vi sono cure per questa patologia, ma solo trattamenti orientati al miglioramento della sintomatologia.1
È estremamente importante, quindi, mettere in atto tecniche preventive che mirino alla gestione dei fattori di rischio modificabili, quali fumo, ipertensione, inattività fisica, diabete mellito, consumo eccessivo di alcol e una dieta ipercalorica ricca di grassi e zuccheri e carente in fonti di fibra alimentare, quali frutta e verdura .1,4
Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili includono:
• intervento coronarico percutaneo (PCI), ovvero una procedura non chirurgica che impiega un catetere, dotato di un palloncino, per aprire l’arteria ostruita e posizionare un tubicino metallico espandibile (stent) per mantenerla aperta2;
• terapia trombolitica, che consiste nell’uso di farmaci che dissolvono i coaguli di sangue1;
• trattamenti farmacologici per controllare i sintomi, prevenire ulteriori danni cardiaci e ridurre il rischio di future complicazioni.1
Al momento, l’obiettivo principale della ricerca è quello di concentrarsi sull’identificazione precoce dell’aterosclerosi, integrando, ad esempio, tecniche di profiling genico, e di sviluppare nuovi trattamenti che lavorino specificatamente sull’infiammazione, in modo da ridurre il più possibile episodi clinici di questo genere.2
Nel frattempo che la ricerca scientifica compirà nuovi passi nella comprensione e cura di questo fenomeno, è fondamentale che il singolo si prenda cura, attraverso la prevenzione e i consigli del medico, della propria salute e del proprio cuore, al meglio delle sue capacità!